Share Stelvio

Contatto: Andrea Lami
Caso di studio 1: Lago Bianco
Caso di studio 2: Lago Rosole
Caso di studio 3: I Bei Laghetti

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Nel 2013 si è concluso il progetto SHARE STELVIO, programma di ricerca triennale sostenuto da Regione Lombardia attraverso Fondazione Lombardia per L’Ambiente (FLA) e Comitato EvK2CNR e finalizzato ad analizzare e quantificare gli impatti del Cambiamento Climatico su ghiaccio e acqua della più estesa area protetta di Lombardia: il Parco Nazionale dello Stelvio (ca. 600 km2).

Il progetto è inserito nell’ambito del più esteso programma internazionale di monitoraggio ambientale in alta quota denominato SHARE (Stations at High Altitude for Research on the Environment) promosso da EvK2CNR, che vede il rilevamento di parametri atmosferici, criosferici ed idrologici in diverse aree montuose del Pianeta e la messa a disposizione dei dati (spesso in tempo reale) a tutta la comunità scientifica e a tecnici e politici interessati.

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Nel triennio di lavoro ricercatori di tre Istituti del CNR (ISAC, ISE e IRSA) e di diverse Università lombarde (Università Statale di Milano, Cattolica, e dell’Insubria e il Politecnico di Milano) hanno collaborato per rilevare ed interpretare dati nei settori glacializzati del Parco Nazionale dello Stelvio dove sono presenti ghiacciai tra i più estesi d’Italia (come il Ghiacciaio dei Forni, 11 km2 di area) e ghiacci sepolti nella roccia e nel suolo di grande entità (permafrost). Questo patrimonio freddo alimenta torrenti, fiumi e laghi e costituisce una risorsa idrica non trascurabile anche per i bacini di media e bassa valle, concorrendo alla produzione di energia e alla mitigazione delle magre estive, rappresentando pertanto un bene prezioso per la Regione Lombardia, oltre ad essere un importante fattore di richiamo turistico alpino.

Nell’ambito di questo progetto il CNR-ISE ha svolto diverse attività di ricerca sulle acque che rappresentano una risorsa preziosa e sono inoltre ottimi indicatori del cambiamento climatico in atto.

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Nel Parco Nazionale dello Stelvio i laghi con una superficie maggiore di 800 m2 sono risultati ben 116 (dati riferiti al 2007), pertanto questo territorio, può essere considerato uno tra quelli a maggior densità di laghi dell’intera catena alpina: un sito ideale per studiare l’impatto del cambiamento del clima e di altri fattori antropici su questa risorsa.
Il monitoraggio di parametri idrochimici e di due gruppi biotici (macroinvertebrati e diatomee) tra i più sensibili ai cambiamenti nella chimica dell’acqua e dell’atmosfera, e in grado quindi di dare indicazioni sullo stato di qualità ecologica delle risorse idriche, ha permesso di evidenziare le peculiarità di queste acque: esse presentano un’estrema variabilità dal punto di vista della composizione chimica, anche in areali ristretti, e una composizione biotica che si modifica in funzione di pressioni esterne, quali i fattori meteo-climatici o il trasporto in atmosfera e la successiva rideposizione di inquinanti.

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L’azione congiunta tra CNR-IRSA, UOS Brugherio, e il nostro Istituto ha permesso di realizzare anche il primo catasto dei Laghi del Parco che ne descrive, oltre alla caratteristiche geografiche, quelle fisiche, chimiche ed ecologiche. Inoltre, grazie al confronto con informazioni provenienti da immagini satellitari e ricerche bibliografiche, è stato possibile ricostruire l’evoluzione negli ultimi 50 anni dei laghi dell’area del Parco dello Stelvio.

Oltre allo studio delle acque in alta quota, nell’ambito del Progetto SHARE Stelvio sono state svolte numerose ricerche a carattere interdisciplinare i cui risultati hanno permesso di fornire un quadro complessivo dell’evoluzione di questo territorio.

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Tra questi si possono citare a titolo di esempio:

  • La riduzione del 40% della superfice glaciale nell’arco degli ultimi 50 anni accanto al ritrovamento di un relitto fossile di tronco a 2400 m d’altitudine con un’età stimata di ca. 4000 anni, ad indicare che fluttuazioni importanti delle masse glaciali avvengono oggi, in relazione all’azione dell’uomo, ma sono avvenute anche in passato in risposta a fattori climatici.
  • Nell’ambito degli studi sul permafrost, a 3000 m d’altitudine, è stata raggiunta la profondità record di -235 m mediante perforazione. Questo studio ha aperto nuovi scenari nell'impatto del permafrost sulla circolazione idrogeologica in alta quota, poiché si riteneva che lo spessore massimo interessato dal permafrost sulle Alpi fosse limitato a non più di 100 m. L’analisi dei dati permetterà di ricostruire la storia del clima alpino degli ultimi 200-300 anni, cosa sino ad oggi impossibile a queste quote in Europa.
  • La messa a punto di una modellistica meteo-climatica che consenta di fornire scenari di previsione dello sviluppo della criosfera.
  • Il monitoraggio della qualità dell’aria ad alta quota per evidenziare l’impatto di inquinanti come il Black Carbon e l’ozono, emessi a scala locale/regionale (Valtellina / Val Cedec / Pianura Padana).

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È importante sottolineare come, sebbene questi risultati rappresentino un elemento importante per definire lo stato attuale delle risorse del Parco, tuttavia è ancora forte la necessità di svolgere ricerche e approfondimenti su queste tematiche. Le acque in alta quota sono infatti un elemento essenziale del paesaggio alpino, ne rappresentano un’attrattiva che stimola e promuove il turismo e sono un’efficace “sentinella” dei cambiamenti globali in atto. È evidente quindi la necessità di mantenere un adeguato monitoraggio per sondare i possibili effetti legati all’impatto antropico sulla biodiversità e i servizi che questi ecosistemi possono fornire.